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NUCCIO ZICARI

RICORDARE DI RICORDARE

   Non si dovrebbe mai dare un noi per scontato quando si parla del dolore degli altri.[i]

Con queste parole la filosofa statunitense Susan Sontag parla dell’attitudine dell’osservatore verso le foto di guerra. La Sontag si riferisce a quell’anestesia dello sguardo conseguente all’ipertrofia di immagini generalmente associata ai fatti più drammatici della storia, guerre, carestie, fame, immigrazione, che genera riluttanza, assuefazione, abitudine alla visione. Una foto quindi assolutamente significativa, se ripetuta esponenzialmente, diventa cliché e porta chi la osserva a sotto valutarla, a prenderne le distanze. Ma quella che stiamo combattendo è una guerra singolare, una guerra invisibile, che riguarda tutti, non può esserci un loro e un noi.

Le foto che ricorderemo di questo periodo sono foto silenziose, come silenzioso è il nemico che stiamo combattendo, l’infermiera sfinita dopo il turno massacrante al pronto soccorso di Cremona, il Papa al centro di piazza San Pietro deserta, la fila di camion militari che trasportano le bare fuori dall’ospedale di Bergamo.

    E allora dovremmo rassegnarci a questo atteggiamento passivo di fruizione della fotografia?

Berger, nella sua raccolta di saggi Sul Guardare,[ii] risponde all’assunto della Sontag, affermando che è vero che la saturazione delle immagini genera clichè ma è altrettanto vero che il loro scopo non è ricordarci qualcosa ma quello più profondo di ricordarci di ricordare.[iii]

Fin dal primo giorno di quarantena mi sono interrogato su quale fosse il mio ruolo di fotografo in questo periodo, cosa fare e se fare.

Ho mosso i primi passi nella fotografia con l’eco del momento decisivo di Henri Cartier Bresson, con gli insegnamenti di Paolo Monti che le fotografie si fanno con i piedi…perché un fotografo cerca, con Robert Capa che mi avvertiva se le tue foto non sono abbastanza buone vuol dire che non sei abbastanza vicino, tutti insegnamenti che presupponevano un dinamismo nella ricerca dei miei soggetti, delle storie da raccontare. Già da qualche tempo queste sacre regole si sono evolute in un approccio differente. Il mondo cambia continuamente, gli strumenti cambiano, cambiano gli uomini, cambia la società, il sentire, gli spazi si dilatano o si riducono, e la loro visione diventa trasversale. Lo capì Gabriele basilico quando negli anni settanta intuì che con la fotografia non puoi giudicare il mondo, ma puoi fare una cosa molto più necessaria: misurarlo. Prendere le misure dei luoghi da noi creati è più importante, più urgente che guardarli.

In questo tempo per lo più confinato dentro le mura di casa mi sento più vicino a Reza Deghati, un grande fotogiornalista iraniano, quando dice fotografate quel che conoscete bene. Dal 10 Marzo tengo un diario che aggiorno quotidianamente, servendomi dell’uso di instagram e dei social networks in generale, dal nome C-DIARY (dove “C” sta per Covid-19). Tenere un diario offre più funzioni, da un lato serve a tenere la mente lucida ed evitare il rischio di un disorientamento spaziale e temporale simile a quello dei carcerati reclusi in prigione­; da un altro mi consente di documentare e raccontare questo periodo in un modo nuovo; da un altro ancora di condividerlo in tempo reale con chiunque e da qualunque parte del mondo vive la mia stessa condizione, giovandomi del confronto e del conforto come facenti parte di una stessa comunità.

Rimanere fermo non pregiudica la mia libertà, almeno quella espressiva, ma piuttosto modifica il mio approccio con la realtà. Mi consente di abitare l’attimo, di ricercare il contingente per renderlo immanente, di trovare curiosità in una poetica delle piccole cose, di guardare all’ordinario vedendolo straordinario.

Osate il banale, l’insignificante, vedrete prima o poi che ha un significato, che c’è dentro la vita, se la sapete cercare,[iv]diceva Gianni Berengo Gardin in un’intervista rilasciata a Michele smargiassi qualche anno fa per Repubblica. AncheWilliam Egglestone, fotografo statunitense tra i primi a legittimare l’uso del colore nella fotografia, parlava di sguardo democratico, di elogio del banale, del quotidiano.

Penso quindi che la fotografia in questo preciso momento storico debba essere percepita come uno strumento di indagine introspettiva capace di intercettare le emozioni, le paure, i desideri, ma anche le gioie, i sogni, le illusioni. Una fotografia, come dice Denis Curti, che agisca come un bisturi capace di entrare nelle pieghe più nascoste della nostra intimità e della nostra pelle ma senza sanguinare, uno strumento chirurgico dolcissimo e docilissimo che non fa paura e che non fa male e che riesce a raccontare. E’ una fotografia che non ha bisogno di guardare ai grandi eventi, che non anela alla prima pagina di un giornale, ma che abbia come nobile massima ambizione di finire in un album di famiglia, come afferma Ferdinando Scianna.[v] Una fotografia che non ci restituisce uno specchio della realtà, ma piuttosto una o più possibili interpretazioni e quindi ci fa capire al meglio ciò che stiamo vivendo permettendoci di riflettere sul quotidiano.


We keep this love in a photograph
Conserviamo questo amore in una fotografia
We make these memories for ourselves
Costruiamo questi ricordi per noi stessi
Where our eyes are never closing
Dove i nostri occhi non si chiudono mai
Our hearts were never broken
I nostri cuori non sono mai stati spezzati
And time's forever frozen still
e il tempo è ancora congelato per sempre

Scorre la mia playlist in questa notte di luna crescente e sulle note di Photograph di Ed Sheeran[vi] chioso le mie riflessioni, augurandovi e augurandomi di non ricordare. Bensì, di ricordare di ricordare.


Autoritratto sulla nave di Lampedusa, Mar Mediterraneo. Dicembre 2015 (Nuccio Zicari)
Autoritratto sulla nave di Lampedusa, Mar Mediterraneo. Dicembre 2015

 

1. [i] Susan Sontag, Regarding the Pain of Others, ed. Farrar Straus & Giroux. 2003

2. [ii] John Berger, Sul guardare, ed. Il Saggiatore. 2017

3. [iii] Daniele Cassandro, Diario per immagini della pandemia, pag.9 Foto, Internazionale extra n.11. 2020

4. [iv] Gianni Berengo Gardin, GBG e la religione del negativo, intervista di Michele smargiassi, Lo sguardo italiano, Repubblica Sera. 7 giugno 2012

5. [v] Ferdinando Scianna, Quelli di bagheria, Peliti Associati. 2003

6. [vi] Ed Sheeran, Photograph, Asylum Records-Atlantic Records. 2015

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